Pubblichiamo con piacere il commento a Liquidità Distribuita scritto dal professor Roberto Tamborini, del Dipartimento di Economia e Management Università di Trento. Come testimoniano le sue molte pubblicazioni e ricerche, il prof. Tamborini è una delle figure più esperte del panorama nazionale in tema di politiche monetarie e di Unione Monetaria Europea.
Premessa
Il libro presenta due livelli di lettura, e due possibili audience. Il primo livello è quello di una trattazione dei problemi e limiti dell’attuale assetto della politica monetaria nell’Unione Monetaria Europea (UME), che introduce ad una proposta alternativa, la “liquidità distribuita” (LD). Il secondo è la trattazione tecnica del modello della LD. Il primo livello è utile ed efficace per un pubblico informato e attento, ma non esperto. Il secondo, invece, richiede competenze specifiche in materia di politica monetaria, politica fiscale e norme che regolano la UME. Segnalo quindi che il primo tipo di lettore può trovarsi in difficoltà addentrandosi nella parte tecnica, mentre il secondo tipo di lettore può rimanere insoddisfatto quanto a profondità e dettaglio su entrambi i livelli. A mio parere sarebbe quindi consigliabile una scelta più mirata e precisa del target del libro e del conseguente livello espositivo più efficace.
Non avendo ben chiaro quale sia il target dell’autore, e dell’editore, il mio commento ne prende a riferimento uno intermedio. Quindi, detto che condivido, per grandi linee, le premesse dell’autore sui limiti della politica monetaria attuale, sia quella convenzionale (controllo dei tassi d’interesse) che il c.d. Quantitative Easing (QE), farò riferimento ai punti qualificanti della proposta di LD, ma non entrerò in diversi dettagli tecnici sui quali avrei perplessità, ma che sono meno rilevanti (e forse potrebbero essere omessi) nella prospettiva del lettore “intermedio”. Per esempio, possono essere omessi i formalismi matematici nell’esposizione del modello operativo della LD.
La proposta di LD
Con il termine LD si indicano due operazioni congiunte di politica monetaria-fiscale compiute dalla BCE. Uno di monetizzazione dell’IVA per i consumatori, l’altro di monetizzazione della detassazione degli utili su investimenti diretti. Per monetizzazione si intende il seguente processo:
- per ogni acquisto di un consumatore residente in un paese “benestante” di un bene prodotto in un paese in “difficoltà”, la BCE rifonde il valore dell’IVA al consumatore stampando
- per ogni impresa di un paese “benestante” che compie investimenti diretti in un paese in “ difficoltà” gli utili saranno completamente detassati e le rispettive tasse versate dalla BCE al paese in “difficoltà” stampando
In primo luogo deve essere chiarito meglio che si tratta di una politica congiunta monetaria-fiscale, per la precisione si tratta di una forma (estrema) di monetizzazione fiscale, vale a dire la copertura di mancati introiti fiscali del paese “in difficoltà” mediante creazione di moneta. Andrebbe altresì chiarito meglio che, in linea di principio (e più comunemente), le stesse identiche operazioni di detassazione potrebbero essere realizzate direttamente dal governo, con la banca centrale che copre il conseguente disavanzo fiscale con emissione di moneta (evitando cioè che il governo lo copra emettendo titoli di debito sul mercato). L’abbattimento dell’IVA su beni venduti a non residenti equivale a un dazio negativo e, in teoria, è uno strumento a disposizione di un governo sovrano; la detassazione degli utili d’imprese non residenti è una pratica molto diffusa (l’esempio principale in UE è l’Irlanda). L’autore spiega perché egli ritiene migliore l’erogazione diretta da parte della banca centrale, ma la spiegazione a me non risulta del tutto convincente. Infine va precisato che la LD è una forma di politica monetaria, nota in letteratura come “helicopter money” (termine che deriva da una metafora utilizzata da Milton Friedman negli anni ’60), la quale comporta una forte estensione dei poteri e del modus operandi della banca centrale, mai attuata in pratica. Infatti la LD prevede un trasferimento diretto di moneta dalla banca centrale al pubblico, mentre di norma e regola le banche centrali non hanno rapporti diretti col pubblico.
I vantaggi del sistema LD
I principali vantaggi illustrati dall’autore sono:
- Si favoriscono e incentivano consumi verso i paesi più in crisi dell’area valutaria. Di fatto uno sconto notevole considerando la detassazione dell’IVA.
- Si favoriscono investimenti diretti data la totale assenza di tassazione sugli utili generati dagli
- Riequilibrio di lungo periodo delle posizioni di disequilibrio
- Competizione tra i modelli manageriali. Secondo questo approccio evoluzionistico i sistemi più efficienti “colonizzeranno” quelli che lo sono
- Secondo l’autore si eviterebbe di finanziare inefficienze pubbliche perché gli aiuti andrebbero direttamente ai settori
- Dovrebbe esserci una ciclicità. Un paese in difficoltà verrà dapprima aiutato con queste leve di politica economica, poi, man mano che si registrerà una stabilizzazione economica del paese in crisi gli aiuti verrebbero diminuiti. Nel caso poi in cui il paese in difficoltà si riprenda a tal punto da diventare virtuoso tale paese smetterebbe di essere
Non ho particolari obiezioni con questa lista di vantaggi, se non che per ciascuno si potrebbe trovare un risvolto negativo. Gli economisti sono abituati a pensare che non ci sono mai soluzioni con soli benefici, e se non vedono i costi s’insopettiscono. Per esempio, ragioni di rifiuto del sistema potrebbero sorgere nei governi e nelle opinioni pubbliche sia dei paesi “benestanti” (es. lavoratori dei settori che subiscono la concorrenza dei beni importati, delocalizzazioni della produzione) che di quelli “in difficoltà” (colonizzazione del sistema economico, dipendenza dal capitale estero). Gli ampi flussi di fattori produttivi che si metterebbero in moto, e che l’autore nobilmente auspica, potrebbero essere rigettati dai cittadini: basti pensare al peso dei flussi di migrazione intra-UE nell’esito della Brexit.
Aggiungerei anche che gran parte della scarsa competitività di un sistema produttivo è frutto di carenze istituzionali: giustizia lenta, corruzione, clima e territorio, formazione del capitale umano, distretti industriali…L’autore immagina di internalizzare tutta la discussione quantificando un valore monetario per finanziarie la cancellazione della tassazione sugli investimenti diretti, e che la “colonizzazione” dei sistemi retrogradi da parte di quelli più avanzati risolva tutti i problemi. Esiste un’ampia letteratura sui pro e contro degli investimenti diretti per lo sviluppo economico che andrebbe considerata. Una discussione più articolata e obiettiva di queste sfaccettature sarebbe auspicabile. Ma non è il caso di dettagliare qui questi aspetti, passando invece a una serie di limiti e problemi logicamente antecedenti.
Il modello di LD è compatibile con i Trattati europei?
Questa è ovviamente la domanda prioritaria, e a mio parere la risposta è no. Dirò il perché, ma non essendo io un giurista, l’invito è che la proposta di LD sia preceduta da un’approfondita analisi giuridica.
In linea di principio il modello di LD sembrerebbe prima facie applicabile in un paese con piena sovranità monetaria e fiscale. Ma ovviamente i paesi membri della UME non hanno sovranità monetaria e hanno sovranità fiscale limitata. Quindi il primo problema è: può la BCE riformulare la politica di QE secondo il modello LD? Sarebbe il caso di tener presente le notevoli difficoltà, anche giuridiche, tra cui un ricorso presso la Corte suprema tedesca, che la BCE ha incontrato per poter varare, buon ultima nel mondo, l’attuale programma di QE. Le ben note obiezioni giuridiche sulla base dei Trattati sono state due: 1) La BCE non può finanziare singoli governi dei paesi membri né direttamente né indirettamente. 2) La BCE non ha legittimità per attuare politiche che comportino, direttamente o indirettamente, scelte fiscali, le quali spettano solo ai legittimi governi nazionali. La Corta Europea di Giustizia ha “assolto” il programma di QE della BCE dichiarando che non vìola i Trattati, ovvero non integra le violazioni 1 e 2. Successivamente anche la Corte suprema tedesca ha respinto (a maggioranza) l’interpellanza presentata da un gruppo di qualificati ricorrenti.
Ora, una discussione approfondita delle differenze tra il modello LD e il QE della BCE sarebbe necessaria nel libro, e sarebbe altresì utile richiamare le ragioni per cui il QE è stato giudicato ammissibile. Ne risulterebbe, a mio parere, che il modello LD avrebbe pochissime chance di superare il vaglio delle violazioni 1 e 2. LD vìola il punto 1 perché monetizza una mancato gettito fiscale del governo “in difficoltà”, e palesemente vìola per definizione il punto 2.
In secondo luogo, anche dal lato dei governi la UME impone limiti alla sovranità fiscale. I più stringenti riguardano due princìpi cardine dei Trattati: la tutela della concorrenza e la proibizione degli aiuti di Stato. A prima vista il meccanismo di abbattimento dell’IVA sui beni importati (che sono beni esportati dal paese “in difficoltà”) li vìola entrambi. Come ho detto prima, non si tratta altro che di un dazio negativo, e i dazi nella UME non possono esistere, né positivi né negativi. Il fatto che l’operazione sia svolta dalla BCE, anziché dal governo, è una foglia di fico invisibile all’occhio attento dei guardiani dei Trattati. C’è anche un precedente, proprio di un paese “in difficoltà”, la Grecia. In uno dei vari piani di aggiustamento del governo negoziati coi creditori (la “Troika”) c’era l’abbattimento dell’IVA sui servizi turistici delle isole (un bene greco sicuramente molto apprezzato dai consumatori tedeschi), che venne bocciato. Per altro risulta difficile credere che Italia e Spagna avrebbero gradito la “concorrenza sleale” delle spiagge greche. Si consideri infatti che, seppur faticosamente, la tendenza degli organi europei è verso l’armonizzazione fiscale, IVA in primis. In linea teorica, sarebbe forse ammissibile la detassazione degli utili delle imprese non residenti (come ho detto l’ha fatto l’Irlanda), ma certamente non può essere fatto solo per imprese residenti in specifici paesi UME, quelli “benestanti”. E anche in questo campo, sebbene la lobby della detassazione degli utili sia molto forte, la UE si sta muovendo, con forte supporto di opinione pubblica, verso il superamento della race to the bottom ovvero dei c.d. “paradisi fiscali”.
Oltre a questi problemi relativi ai Trattati, l’implementazione della LD presenta numerosi aspetti operativi non banali che richiederebbero maggiori approfondimenti. Ne segnalo brevemente solo uno che mi sembra particolarmente rilevante.
Come s’identificano i paesi target?
Il punto chiave della LD è l’identificazione dei paesi target. Per la precisione i paesi target sono di due tipi: quelli “in difficoltà” (paese A), i cui beni esportati beneficiano dell’abbattimento dell’IVA e le imprese non residenti della detassazione degli utili, e quelli “benestanti” (paese B), in cui risiedono i consumatori che ricevono il rimborso dell’IVA per i beni esportati dal paese A e le imprese i cui utili esteri conseguiti nel paese A sono detassati. Nel libro si fa l’esempio emblematico della Grecia come paese A e della Germania come paese B, ma il problema è molto meno ovvio di come appare.
Ogni paese può essere “in difficoltà” o “benestante” per alcuni aspetti e non per altri. Inoltre le difficoltà di un paese possono essere transitorie o strutturali. In macroeconomia si distinguono i fattori ciclici di “breve periodo” da quelli strutturali “di lungo periodo”. Allora in primo luogo l’autore deve chiarire qual è lo scopo della LD: è un strumento di politica anticiclica, cioè atto ad accelerare la ripresa economica dopo una recessione, o uno strumento di politica strutturale, cioè finalizzato a rimuovere le cause di bassa crescita di un paese? La lettura del libro fa propendere per la seconda ipotesi, la quale però solleva diverse obiezioni.
La concezione moderna della politica monetaria in tutti i paesi avanzati è che essa è uno strumento anticiclico, non strutturale. Le banche centrali ritengono di non avere né gli strumenti né la legittimità per attuare politiche strutturali, che invece sono prerogativa esclusiva dei governi democraticamente eletti. Come detto sopra, questa concezione è integrata e rafforzata nei Trattati della UME. Inoltre nella UME esiste un veto politico per mettere in campo politiche di aiuti strutturali tra paesi. La fiducia dell’autore nel fatto che la LD superi questo veto semplicemente nascondendola dietro il velo della politica monetaria, o magari grazie alla soddisfazione dei consumatori e delle imprese dei paesi B, mi sembra infondata.
L’autore propone d’identificare i paesi B sulla base dello spread di rendimento dei titoli di stato. L’idea è che uno spread alto rifletta la valutazione del mercato finanziario sul grado di “difficoltà” di crescita ed economica generale, rispetto ai paesi a spread basso. Dunque a spread maggiore corrisponde una dose di LD maggiore. A mio giudizio lo spread è l’indicatore meno adatto per gli scopi di aggiustamento strutturale che l’autore si prefigge. Come attesta la letteratura finanziaria, lo spread è un indicatore molto volatile, molto sensibile a fattori esogeni al singolo paese, presenta ampie e persistenti deviazioni dal suo valore teorico di merito di credito del paese, e ha poco contenuto predittivo dell’evoluzione futura dell’economia. Basti ricordare che dopo il varo dell’euro per dieci anni gli spread di tutti i paesi sono stati pressoché nulli indipendentemente dall’evoluzione (o involuzione) strutturale delle economie sottostanti, mentre in seguito alla “scoperta” del mega indebitamento greco gli spread sono esplosi a grappolo in buona misura sganciati dai fondamentali di ciascun paese. Giova anche sottolineare che proprio questa natura contingente e non strutturale della crisi degli spread, che interferisce severamente con l’efficienza finanziaria e la funzionalità della politica monetaria, è stata addotta a sostegno e giustificazione degli interventi non convenzionali della BCE, i quali effettivamente hanno sgonfiato gli spread.
Quanto alla ricerca di un buon indicatore strutturale, il problema non è di facile soluzione. Per esempio, a causa della Grande Recessione mondiale del 2008-09, la disoccupazione è aumentata più o meno in tutti i paesi membri della UME. Erano tutti eleggibili come paesi A? Forse no, ma quanta parte dell’aumento è stato dovuto alle cause contingenti della crisi mondiale, e quant’è invece la disoccupazione strutturale? Un’ipotesi che a me pare plausibile è di collegare la LD all’ambito dei c.d. “squilibri macroeconomici”, che rientrano nei nuovi parametri di riferimento della Commissione europea. L’indicatore principale utilizzato dalla CE è lo squilibrio di conto corrente. Un paese membro è chiamato ad attuare manovre correttive se ha un disavanzo corrente maggiore del 4% del PIL o un avanzo corrente maggiore del 6%. Di fatto, nessun paese in avanzo ha rispettato questa regola, mentre i paesi in disavanzo hanno corretto i loro conti correnti subendo i meccanismi deflattivi e recessivi che l’autore analizza correttamente. In base a tale criterio, i paesi A e B sarebbero identificati in relazione alla violazione dei limiti suddetti di disavanzo e avanzo del conto corrente, i quali in effetti hanno cause e dimensioni di medio-lungo termine. L’abbattimento dell’IVA sulle importazioni di ciascun paese in avanzo da ciascun paese in disavanzo darebbe certamente un contributo al riequilibrio. L’incentivo fiscale all’investimento reale diretto da ciascun paese in avanzo a ciascun paese in disavanzo, costituirebbe la controparte di movimenti di capitali reali, anziché meramente finanziari o speculativi, a fronte dello squilibrio di conto corrente. Naturalmente, se i Trattati lo permettessero.
Trento, 19-11-2016